“…ma so che qui è così e quanto importi nella vita non già di essere forti ma di sentirsi forti, di essersi misurati almeno una volta, di essersi trovati almeno una volta nella condizione umana più antica, soli davanti alla pietra cieca e sorda senza altri aiuti che le proprie mani e la propria testa (da “Into the wild”, Christopher McCandless, citando Primo Levi)
La colpa è stata della pietra, ecco. Un giorno ti racconterò questa storia, quando sarai più grande. Forse lo farò recitandola con il tono di quelle orride favole giapponesi come meriterebbe, ma in ogni caso ti sembrerà una favola perché, in fondo in fondo, non mi crederai.
Ti dirò di quando in certi paesi lontani, su certi lontanissimi sentieri, si incontrano talvolta delle pietre: prima dei ciottoli, poi dei sassi, poi delle piccole pietre su cui puoi inciampare magari la prima volta, che puoi imparare a saltare la seconda, forse alla terza arrivare addirittura a raccoglierne qualcuna. Ma ancora non sai che quelle non sono “la” pietra.
Quella – te ne accorgeresti, ma io conto sul fatto che non la scorgerai mai – ma te lo dirò, è grande come tutto il sentiero: è un’enorme pietra non solo cieca e sorda ma soprattutto enorme, tanto da coprire anche le stelle, sai? La bambina guarda in su e non vede altro che quella altissima parete di roccia e neanche più l’orizzonte. E’ lì che ferma si mette a pensare, proprio lì, in piedi. Che è la stessa pietra di cui aveva sentito una volta in una storia, credendo che fosse una favola. E’ lì che si mette a cercare di scoprire, di capire. Anche se si sta facendo notte.
Ma noi saremo sedute di fronte al mare, quando te la racconterò. Su uno scoglio. Sarà stato un giorno di sole e la luce prima del tramonto si rifrangerà con dolcezza come fa sempre e quel giorno e in quel momento lo farà ancora meglio e ancora di più, sulle onde. E tu sarai più grande e non ti spaventerai. Ed io riderò, perché da un pezzo sarò già dall’altra parte con la pietra alle spalle, da un bel pezzo.
Per Camilla
Ti dirò: “raccontami della pioggia, tutto”.
E tu comincerai a raccontarmi della tua pioggia, di quel ricordo e di quell’altro, di quel buio e di quella luce, di quell’odore, di quel fragore. Continuerai ancora, anche quando mi sembrerà che tu abbia smesso ma era solo una pausa tra un racconto e l’altro, e mi dirai con calma e con tutti i particolari giorno dopo giorno, goccia dopo goccia.
Poi mi dirai della pioggia di cui ti ho raccontato io – me ne resterò acciambellata silenziosamente come le gatte e vicina alle gatte e vicina a te – di quando sembrava un concerto nel mio parco, di quando senza ombrello, di quando nei miei passi – poi mi dirai della pioggia di stasera, che è già stanotte.
Di questo ticchettio o dello scroscio leggero, o del temporale, che sarà. Allungherò una mano per sentire quale delle due si è addormentata qui dietro alla mia schiena anche se già lo so e prima di chiudere gli occhi aspetterò che tu mi dica: è già passato, sì.
punto su punto
istante su istante
r e s p i r i
su respiri
giorni e notti tessuti
di musiche e silenzi, di risa e di singulti
filati nella luce
sospesi dentro al buio
lasciati, rigirati, ripresi, ricontati
stretti
d i s t e s i
amati e odiati
rimirati e ignorati
mai rinnegati
punti
i n f i n i t i
Rimaniamo sempre io e te sulle due sponde opposte: ruscello o fiume, mare o oceano che ti sembrino, così come ti sembrano impossibili da attraversare.
Anch’io infine te lo dico ho imparato da te a rimanere ferma, guardando l’orizzonte. E l’orizzonte è diventato poi prima un quartiere, poi un muro, poi quel tetto orrendo cosparso di mattoni, quell’angolo buio dove di notte nasce la paura, finché ho chiuso anche la finestra per non vederli e ho acceso la luce. Certo ancora lo faccio, certo, anche in pieno giorno. Lo chiudo fuori il desiderio di te, che non sono più la stessa, quella che sorrideva dalla sponda opposta e come dicevano? Sospirava. Mi domando adesso che mi manca il fiato, come facessi.
Ti scriverei da qui: ti direi del viaggio che è stato in avanti eppure certamente anche all’indietro, di un’andata che nello stesso tempo diresti anche un ritorno.
Avresti ragione se le cose fossero ancora al loro posto, tipo se l’orologio fosse ancora sulla parete a destra del camino, di quei gesti ho scoperto uno fa per tanto tempo e poi continua anche quando quello che sapevi non c’è più. Mi sono ricordata infatti di dov’era appeso quell’orologio perché i miei occhi si sono messi a cercarlo di quando in quando lassù nei momenti più impensati, ci credi? Mica guardavano verso quello nuovo, no, quello era come se non ci fosse. Lo sguardo fissava quel punto che ora è bianco del muro, mentre la domanda restava e resta: ma che ora è?
Ti scriverei comunque a quest’ora e da questo punto da cui vedo l’albero fuori dalla finestra a sinistra ed uno squarcio di tramonto fuori di quella a destra: un punto nuovo che ho trovato adesso anche se non so se è all’andata o al ritorno e da dove c’è del verde di là, del giallo e del rosso di qua.
Ti aspetterei qui.
Dov’é quello che ti quieta
in questa luce che smorza l’estate
i muri, l’asfalto
tra queste onde di ricordi, le scene, le date
tra tutti i fogli che stralci
i colori diversi
i sapori perduti
la sete.
In questo fragore che chiamano vita
quello che ti placa
dov’è?
Brillerà il tuo sguardo
come la prima lucciola vicina al muro
come per un appuntamento
della sera
brillerà?
E’ come un faro che mi veglia e tace:
solo un sussurro delle ciglia
il suo messaggio.
Tornerò, aspettami:
Ancora cerco sulla battigia le piccole cose:
quel pesce di cartapesta, le campanelle
la cartolina che mi mandarono in un giorno di sole
cerco quel diario, di quell’anno
quella camicetta bianca coi ricami
la fotografia
che mi mancano.
Cerco e neanch’io so come né bene il perché
come fosse il respiro
certe briciole mentre cala la tempesta
le onde più quiete, i piedi nudi.
ma tu aspettami
per i tuoi occhi, tornerò.
ho ancora le mani sul timone:
queste mie mani ferite
dalle miserie della vita
ancora a stringere.
Per il resto
fluttuano intorno le colline
le prime margherite livide nel vento
mentre senza bussola avanzo
senza un faro
e un’altra luna fredda cala
nel silenzio.